Leggiamo insieme un libro
Destino
di Raffaella Romagnolo
“Benedicta parte prima”
“Benedicta parte seconda”
In questa pagina si parla dei fatti tragici della Benedicta: la prima parte è il racconto della strage, la seconda parte racconta i giorni successivi, quando le madri dei ragazzi hanno raggiunto il luogo.
Di seguito puoi:
- guardare le immagini della Benedicta;
- ascoltare la lettura fatta dall’autrice Raffaella Romagnolo nella versione a velocità normale o nella versione rallentata;
- leggere il testo;
- fare gli esercizi di comprensione del testo;
- leggere ad alta voce il testo e inviare la tua registrazione all’insegnante.
Benedicta (parte prima)
[player id=2034]
Di seguito puoi ascoltare lo stesso audio a velocità rallentata:
[player id=2126]
Nella grotta in cui si sono riparati il tempo passa alla svelta, viene buio e quasi Giacomo non se ne accorge, i visi dei compagni come fosse scure intorno al brillare degli occhi. A un certo punto Nuxe si rizza sulle zampe. Fremendo, spinge il muso verso l’imboccatura.
«Hanno i cani» bisbiglia Giacomo e blocca la cagnetta a due mani. La settimana prima ha notato che si leccava sotto, facile che adesso sia in calore. «Tranquilla Nu.»
Ma Nuxe non è tranquilla, le zaffate da fuori sono perentorie. Vieni qui, vieni qui. L’odore di maschio la scuote, secco come un comando. Non che le piaccia, piacere le piacciono i tartufi, la pelle del pollo, i ricci vivi, il sangue, le cacche, ma non c’è cosa che la ubriachi di più, certi giorni, e così vorrebbe abbaiare, sono qui, vieni a prendermi, ma guarda il padroncino e rinuncia. Lui la stringe più forte, lei inclina il muso, gli lecca le dita, ti prego lasciami, ma lui niente, non vuole, le mani gli tremano. E le arriva anche questo tanfo acido, tutti gli uomini nella tana adesso ce l’hanno addosso, non saprebbe più distinguerli, lei che li aveva catalogati uno per uno: minestra di cavolo, piedi, rasoio, aglio, cuoio, erba, fucile, polenta, sperma, rosmarino, castagnaccio, merda e pipì. Adesso è un unico odore rancido, l’ha già sentito addosso al padroncino tempo prima, una volta che hanno incontrato un branco di lupi. Sopravvento, quelli se n’erano andati, lei sentiva loro ma loro non sentivano lei, invece è sicura che il maschio fuori dalla grotta la senta eccome, ha quell’odore di quando vuole spingersi ma non può, forse qualcuno lo trattiene, anzi lo costringe ad allontanarsi. Nuxe scosta la coda eccitata, disperata, non andartene, sono qui; il padroncino non vuole che lei abbai, e lei è una cagnetta fiera, che non disubbidirebbe mai, però il maschio là fuori se ne sta andando, e alla svelta anche, e il pianto che Nuxe ha in gola diventa un uggiolìo.
È un attimo. Si ritrovano fuori tutti e dieci, alla luce dei riflettori negli occhi, le mani intrecciate sul capo, il petto sotto il tiro delle pistole mitragliatrici. I cani sono scomparsi. Nuxe fiuta la traccia risalendo verso Cascina Benedicta, sotto l’odore di gomma, ferro e polvere da sparo, ma non si stacca da Giacomo, teme di perderlo in quel mescolìo di odori. Quando vengono spinti a forza dentro la cappelletta di fianco all’intendenza partigiana, s’infila anche lei. Saranno un centinaio, ammassati. Impossibile distinguerli uno per uno.
È venerdì santo da qualche ora. Nella cappella qualcuno attacca il rosario. Hanno fame, sete, voglia di pisciare. La litania sveglia i pochi che sono riusciti a prender sonno seduti contro il muro o il compagno. A giorno fatto, la porta si spalanca inondando di luce i prigionieri. Il tanfo dev’essere nauseabondo perché l’ufficiale tedesco si ritrae portando il guanto al volto. Poi ne conta otto tra i più robusti. Vengono spinti fuori e il portone si richiude. Passa un’ora. Una scarica di mitragliatrice, poi due colpi di pistola, poi più nulla. Alle dieci in punto il portone viene di nuovo spalancato. Un còrdolo di soldati tedeschi armati delimita ai due lati il varco che scende a valle, verso un ruscello. L’ufficiale questa volta ne conta cinque. Sulla soglia urla un ordine che i cinque non capiscono. L’ufficiale sfila la pistola dalla fondina e col calcio colpisce alla nuca il ragazzo più vicino, che s’accascia. Due soldati tedeschi provvedono a legargli le mani dietro la schiena col fil di ferro, poi lo sollevano e lo tengono ritto in piedi fino a quando non è in grado di reggersi. Gli altri quattro ragazzi vengono legati nello stesso modo. Un uomo in borghese appunta i loro nomi su un registro, un altro soldato li perquisisce e deposita in una cassetta portafogli, fotografie, lettere, biglietti, medagliette della Madonna. L’ufficiale urla ancora e i cinque capiscono che devono marciare allineati. In mezzo al corridoio di soldati, svoltano in basso, avviandosi al ruscello. Il portone si chiude alle loro spalle. L’ufficiale tiene d’occhio il cronometro. Alla scarica di mitragliatrice, lo blocca. Si consulta con un sottufficiale, stabilisce che i ribelli usciranno a gruppi di cinque ogni venti minuti esatti. Si va avanti così per tre ore, quando vengono nuovamente prelevati altri otto ragazzi robusti. Per un’ora il portone rimane chiuso. Poi, alle tre del pomeriggio, tocca a Giacomo Leone.
Dopo tanto tempo nell’oscurità, fatica ad abituarsi alla luce bianca del pomeriggio. Il sole è basso sull’orizzonte, i tronchi nudi dei castagni scricchiolano al vento del nord. Quassù l’inverno muore lentamente. Il fil di ferro sega i polsi. Lo stimolo a urinare, prima fortissimo, è scomparso. Nuxe gli trotterella al fianco. Strano non l’abbiano già uccisa, pensa Giacomo. I soldati tedeschi sono proprio a un passo. Voltato l’angolo, lontani dall’ufficiale, hanno smesso l’attenti, chiacchierano tra loro, fanno cenni alla cagnetta. Due di loro, sul ciglio, danno le spalle al gruppo. Arriva odore di fumo e Giacomo Leone sente il desiderio fortissimo di un tiro, lui che non ha mai cominciato. Cammina e continua a fissare i due punti rossi di brace. Rischia di inciampare, tant’è preso.
Gli è tornato in mente nonno Primo, lo vorrebbe al suo fianco. Non questo compagno che non conosce e non smette di piangere, non quell’altro che tiene il passo come fosse in piazza d’armi. Solo nonno Primo. Neanche il padre, la madre o la sorella. Fossero qui a guardarlo, sarebbe impossibile lasciarsi andare alla morte. Primo e basta. Giacomino vieni qui. Il punto rosso di brace. Primo e basta. Il trifulao, il maestro della banda. Giacomino, vieni qui. Il punto rosso di brace nella notte gelata di stelle. Il segreto di una radice. Il mistero di un salice. La mano sporca di terra. La carta da musica, la tromba, l’organetto. A bocca chiusa Giacomo intona L’Internazionale. I tedeschi lasciano correre, mancano pochi passi al termine.
Primo Leone si allontanerebbe con Nuxe, adesso, in questo momento, prima che la marcia sia finita. La cagnetta non seguirebbe nessun altro. È spaventata, Giacomo se ne accorge da come gli s’addossa alla caviglia e gl’intralcia il passo. Bella la mia cagnetta che non dà una voce, se non per amore. Certo ha sentito i cadaveri, la prima fossa non è ben coperta, spunta una mano, l’indice puntato verso Nostro Signore. E il ruscello non ha più acqua, solo sangue. «Tranquilla, Nu, tranquilla.» Quelle dietro la mitraglia sono divise italiane. Nella luce bassa, gli sembrano elegantissime, perfette per un’occasione solenne, non per questo fango. Mentre un bersagliere gli indica il punto esatto dove sistemarsi, Giacomo abbassa il mento a sentire il fazzoletto rosso sul collo. Il fazzoletto di nonno Primo. Il terreno è molle, zuppo. Immagina che, dopo, Nuxe sciolga il fazzoletto e lo riporti a casa. È ancora intero, nonno. Poi non sente più niente.
Dopo aver completato l’esercitazione prova a registrare la tua voce mentre leggi il testo. Poi carica la registrazione cliccando qui sotto:
Benedicta (parte seconda)
[player id=2032]
Di seguito puoi ascoltare lo stesso audio a velocità rallentata:
[player id=2127]
Anita e Rita arrivano ai piedi del Tobbio la mattina del 9 aprile, domenica di Pasqua. Salgono verso Cascina Benedicta con altre donne partite dai paesi vicini. Una indossa il velo nero, una piange. Un’altra intona un canto con voce sottile.
Prega per noi, Maria,
prega pei figli tuoi.
Madre che tutto puoi,
abbi di noi pietà.
Il rumore delle fosse arriva prima dell’odore. Centinaia di mosconi s’azzuffano sui resti. Due contadini con un fazzoletto sul volto stanno svuotando la prima. I cadaveri sono allineati poco distante, le donne passano il cotone imbevuto nel disinfettante sui volti e sulle mani, poi ricompongono i corpi. Una ragazza gira con la bottiglia dell’alcol, versandolo a chi ne ha bisogno. Una ragazzina cerca di ordinare scarpe scompagnate, berretti, braccia, piedi. Le sponde del ruscello sono rosse per metri e metri. La donna dalla voce sottile non smette di cantare.
Siam peccatori, ma figli tuoi,
Immacolata, prega per noi.
Si capisce subito quando, nel lezzo e nella confusione, una donna riconosce un figlio. Tutto si ferma per qualche secondo, il ronzare delle mosche crepita come un falò. Rita siede su un masso, fissa il ruscello e non dà una lacrima, immobile. Qualcuno scende da Cascina Benedicta portando a braccia travi annerite dal fumo e parti dell’impiantito. I pezzi di legna ch’erano tavoli, sedie e solette vengono appoggiati delicatamente sui corpi già ripuliti, bare improvvisate. Anita toglie il fazzoletto che porta in capo, lo straccia e ne ricava due pezzuole. Inzuppa la prima nell’alcol, s’inginocchia accanto a un ragazzo e lo ripulisce, poi un altro, poi un altro, fino a contarne cinque. Poi si alza, raggiunge il ruscello, sciacqua la pezzuola nell’acqua torbida, cerca la ragazza con l’alcol e ricomincia.
Giacomo Leone è nella seconda fossa. La raffica gli ha devastato la fronte.
Anita riconosce il fazzoletto rosso. Si alza, raggiunge Rita, la prende sottobraccio e l’accompagna dal figlio. S’inginocchiano ai lati, una a destra e l’altra a sinistra. Anita le porge la seconda pezzuola, pulita. Tenendo la mano sulla sua, la guida sul volto di Giacomo, sulle guance, sul collo. Poi si ritrae e la lascia sola con lui. In piedi, comincia a piangere silenziosamente, gli occhi chiusi. Quando li riapre, vede Rita riversa sulle ginocchia e Nuxe accanto a lei, il pelo nerissimo incrostato di sangue rappreso, che si strofina sulla spalla del padroncino. Si china a carezzare la cagnetta sul muso, scioglie il nodo del fazzoletto rosso e lo infila in tasca. Poi aiuta Rita a rialzarsi.
Dopo aver completato l’esercitazione prova a registrare la tua voce mentre leggi il testo. Poi carica la registrazione cliccando qui sotto: